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Published in: Autori stranieri, Libri

Ma gli androidi sognano pecore elettriche? – Philip K. Dick

o Il cacciatore di androidi

★★★★☆
  • Titolo originale: Do androids dream of electric sheep?
  • Anno: 1968, pubblicato per la prima volta in Italia nel 1971
  • Genere: fantascienza / distopico
  • Casa editrice: Fanucci
  • Isbn: 9788834712511
  • Pagine: 238
  • Prezzo: 11,90
  • libro stampato su carta proveniente da foreste eco-sostenibili
Nel 1992 la Guerra Mondiale ha ucciso milioni di persone, e condannato all’estinzione intere specie, costringendo l’umanità ad andare nello spazio. Chi è rimasto sogna di possedere un animale vivente, e le compagnie producono copie incredibilmente realistiche: gatti, cavalli, pecore… Anche l’uomo è stato duplicato. I replicanti sono simulacri perfetti e indistinguibili, e per questo motivo sono stati banditi dalla Terra. Ma a volte decidono di confondersi tra i loro simili biologici. A San Francisco vive un uomo che ha l’incarico di ritirare gli androidi che violano la legge, ma i dubbi intralciano a volte il suo crudele mestiere, spingendolo a chiedersi cosa sia davvero un essere umano.

E’ il 1992. Un sottile strato di materia grigia avvolge ogni cosa, provocata da una guerra della quale non si sa neanche chi sia il vincitore. Dopo il disastro atomico, chi vuole sopravvivere deve emigrare su altri pianeti, e chi resta è condannato ad una lenta morte da radiazioni. “Emigrate o Degenerate”, è l’appello impietoso delle autorità. I sintomi sono l’alterazione delle capacità intellettive, che rende cervelli di gallina, seguita dalla deviazione genetica, spettro di possibili mutazioni della specie. C’è un solo canale televisivo in queto mondo alternativo privo di zapping, in onda 23 ore su 24: il Buster Friendly e i suoi simpatici amici. C’è una scatola empatica, attraverso la quale tutti si possono connettere con tutti e soprattutto con Wilbur Mercer, fondatore del Mercerianesimo, religione ufficiale. Ogni famiglia deve possedere un animale, questo è uno dei principi del mercerianesimo, perchè essi aiutano a stimolare l’empatia, ciò che ci distingue dagli androidi.

Rick Deckard è un cacciatore di taglie. La sua è una vita squallidamente ordinata, e il suo lavoro consiste nel ritirare gli androidi che sono fuggiti da Marte per rifugiarsi sulla Terra. Essi non sono nient’altro che sofisticati congegni bio-elettronici sempre più perfetti, dotati di esistenze plausibili e falsi ricordi, incapaci però di provare empatia, cioè la consapevolezza e la partecipazione emotiva, sia verso gli altri androidi, sia verso gli esserei umani. E’ su questo che si basa il test Voigt-Kampff, quello che usa Rick per distinguere gli androidi e quindi eliminarli. Gli umani provano empatia, gli androidi no. Almeno così sembra. Ma ad un certo punto questo equilibrio si spezza, quando Deckard riceve l’incarico di ritirare, “terminare” si potrebbe dire, un gruppo di replicanti particolarmente evoluti e… praticamente umani.

È una lunga giornata quella che aspetta il protagonista di questo romanzo (scritto da Dick nel 1968, in piena guerra fredda e neo-sviluppo tecnologico), giornata in cui la realtà sembra disgregarsi in un mosaico confuso all’interno del quale i replicanti sembrano più umani, per certi versi, degli uomini veri e propri. Deckard perde a poco a poco la sua capacità di distinguere ciò che è reale da ciò che è artificiale, compresa la sua stessa natura: l’incontro con Rachael, androide senza saperlo, lo porterà alla scoperta di un nuovo e angosciante modo di essere “vivi”.

Accanto a tutto questo c’è la tenera figura di Isidore, contaminato, cervello di gallina e subumano, tuttavia con una sua altissima dignità; forse l’unico capace ancora di provare sentimenti come simpatia, compassione, amicizia. Isidore è il solo che ha il coraggio di ascoltare il “rumore del silenzio”, la voce del vuoto sconsolato che lo circonda come un’infinita scarica elettrostatica, in cui nulla è in grado di opporsi all’entropica avanzata della palta, del disordine indifferenziato che tutto inghiotte; ed è l’unico che cerca, disperatamente, di combattere per il proprio spazio di vita. Disprezzato dagli stessi androidi, Isidore rappresenta l’ultimo esempio di umanità perduta, capace di spegnere il televisore e cercare, faticosamente, un contatto reale.

Questo romanzo ha vari livelli di lettura, ma il denominatore comune, nell’universo sgretolato di Dick, è che tutto è falso, diverso da quello che sembra e che dovrebbe essere: gli androidi sono l’imitazione fasulla dell’uomo, ma le nuove generazioni hanno iniziato a sviluppare una sorta di “ansia intellettialistica” di liberazione e tornano sulla Terra per cercare di integrarsi. Il possesso degli animali, quello che dovrebbe stimolare l’empatia negli umani, risulta  invece un mero gioco sociale, uno status symbol. Ecco perchè esistono gli animali elettrici, a portata di tutte le tasche. Ed ecco perchè Rick è ossessionato dal desiderio di possedere un animale raro: anche lui possiede solo una pecora elettrica, mentre il suo vicino di casa possiede un cavallo, e la vita di questi animali, per gli uomini che li posseggono è tanto preziosa a seconda della loro quotazione sul catalogo Sydney.

E’ interessante anche la visione che Dick ha di Dio, che appare nel romanzo sottoforma di Mercer, un Dio sconfitto ma onnipresente, annichilito, incarnato in personaggi dissociati dalla realtà. Un Dio che si rivela in macchine empatiche, come un novello salvatore in un epoca di decadenza umana e materiale.

Alla fine dei conti, l’ho trovata una bellissima lettura, ma penso che forse i concetti che Dick voleva esprimere rimangano un pò confusi, o almeno per me è stato così. Ecco, giunta alla fine ho avuto come la sensazione di essermi persa qualcosa, o di non aver capito qualcosa, come se un qualche concetto fosse rimasto ammantato nell’implacabile polvere grigia che ricopre la Terra.

Frasi dal libro

Inoltre, nessuno oggi si ricordava del perchè ci si fosse trovati in guerra, né chi avesse vinto, ammesso che qualcuno avesse vinto.

Isidore entrò in salotto e spende la TV. Silenzio. Riverberava come un bagliore dalle pareti e dai pannelli di legno; lo percuoteva come una tremenda energia assoluta, come venisse generato da un’immensa turbina. Saliva dal pavimento, dalla consunta moquette grigia. Si sprigionava dagli elettrodomestici rotti o semiguasti della cucina, macchine morte che non avevano mai funzionato da quando Isidore era andato ad abitare in quella casa. Stillava dall’inutile lampadario in salotto e andava a mischiarsi a se stesso, ad altro silenzio che calava dal soffitto macchiato di mosche. Riusciva in effetti a emergere da qualsiasi oggetto vi fosse nel campo visivo di Isidore, come se il silenzio volesse sostituirsi a qualsiasi cosa tangibile. Quindi assaliva non solo le orecchie, ma anche gli occhi; in piedi davanti al televisore inerte, Isidore percepì il silezio visivile e, a suo modo, vivo. Vivo! Ne aveva spesso avvertito l’austero avvicinarsi in precedenza; quando arrivava gli esplodeva in casa senza alcun rispetto, evidentemente incapace di attendere. Il silenzio del mondo non riusciva a tenere a freno la propria avidità. Non poteva aspettare ancora. Non quando aveva già virtualmente vinto. (pag. 41)

“In ogni modo, si può guadagnare una fortuna a contrabbandare su Marte la narrativa pre-coloniale, le vecchie riviste, i libri, i film. Non c’è niente di più emozionante. Leggere di città e di vaste imprese industriali, di colonizzazioni ben riuscite e organizzate. Si può immaginare come avrebbe potuto essere. Come sarebbe dovuta essere la vita su Marte.” (pag. 147 – Pris a Isidore)

“Dovunque andrai, ti si richiederà di fare qualcosa di sbagliato. E’ la condizione fondamentale della vita essere costretti a far violenza alla propria personalità. Prima o poi, tutte le creature viventi devono farlo. E’ l’ombra estrema, il difetto della creazione; è la maledizione che si compie, la maledizione che si nutre della vita. In tutto l’universo.” (pag. 169 – Mercer a Rick Deckard)

Copertinando: chi l’ha detto che un libro non si giudica dalla copertina?

L’illustrazione in copertina (“Pecora elettrica”, 2007) è di Antonello Silverini, pittore e illustratore italiano che si fregia di molti premi internazionali. illustratore che ritroviamo anche per le copertine di libri di Neil Gaiman, Doris Lessing, nei libri editi da Fanucci per la serie del 25° anniversario della morte di Dick e molti altri. QUI trovate il suo sito.

Un piccolo appunto personale sulla copertina: ho la sensazione che coloro che hanno fatto la copertina non abbiano letto attentamente il libro. La quarta di copertina riporta questo estratto: “Aiace salì in terrazzo, al pascolo pensile coperto dove la sua pecora elettrica ‘brucava’. Dove quel complesso marchingegno automatico ruminava ebbro di soddisfazione simulata, riuscendo a infinocchiare gli altri inquilino del palazzo”. Tutto questo sarebbe molto bello se non fosse che Aiace non è un nome, ma il modello delle “braghette in piombo” che Rick porta per difendersi dalla polvere. La frase inizia infatti così: “Dopo una colazione veloce – la discussione con la moglie gli aveva fatto perdere tempo – Rick, già vestito per avventurarsi fuori casa, protetto anche dalla Braghetta in Piombo Montibank, modello Aiace, salì in terrazzo, al pascolo pensile…”. Leggere il libro prima di scrivere il retro di copertina no eh?

Trasposizioni cinematografiche

Il libro ha goduto di un’immensa popolarità a seguito del successo della pellicola che ne è stata tratta, Blade Runner di Ridley Scott, considerato uno dei capolavori del fcinema di fantascienza.

Il Segnalibro

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5 comments on “Ma gli androidi sognano pecore elettriche? – Philip K. Dick”

  1. Bellissima recensione! A me il libro è piaciuto davvero molto, anche perchè il tema del “robot umanizzato” è uno dei miei preferiti della fantascienza!

    Per quanto riguarda la quarta di copertina…. guarda, io ormai non le leggo più, la maggiorn parte delle volte o non c’entrano nulla col libro, oppure ti raccontano tutto, finale compreso!

  2. Hai un modo di recensire decisamente figo!
    Oltretutto questo libro è un capolavoro. Anche se ne preferisco due in particolare di Dick:
    – La svastica sul sole
    – Confessioni di un artista di merda

    Dick a ogni modo è fantasmagorico.
    A presto.
    A.

    1. Troppo buono.
      La svastica sul sole ce l’ho nella traballante pila dei libri da leggere, l’altro invece no, ma già dal titolo mi sembra nelle mie corde. E si, Dick viaggiava comodo in quella sottile striscia che divide il genio dalla follia..

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