Skip to content

Published in: Rubriche, Sono solo weird things, Curiosità letterarie

Speciale libri & weird things: la tafofobia, ovvero la paura di essere sepolti vivi

Indice dei contenuti

Origini della tafofobia

Quella di essere sepolti vivi e ritrovarsi sotto metri di terra chiusi in una cassa senza via d’uscita è un’idea che farebbe rabbrividire chiunque.
Al giorno d’oggi interessa pochi soggetti che soffrono di una forma estrema di claustrofobia, ma prima dell’avvento della medicina moderna, la paura di essere sepolti vivi non era del tutto irrazionale.

Nella storia vi sono stati numerosi casi di persone accidentalmente sepolte vive. Nel 1896 un impresario di pompe funebri americano, T.M. Montgomery, riportò che quasi il 2% delle persone riesumate erano state senza dubbio vittima di uno stato di morte apparente. Per questo durante il XIX secolo, la paura di essere sepolti vivi divenne per molti una vera e propria fobia che assunse addirittura una nome: la Tafofobia.

[ta-fo-fo-bì-a]
La tafofobia (dal greco taphos, sepolcro) è una fobia con possibili relati psicopatologici, derivante dalla paura di essere sepolti vivi, quale risultato dell’errata constatazione della propria morte.

Questa patologia fu descritta per la prima volta dal medico e psichiatra italiano Enrico Morselli nel 1891 nella sua opera “Sulla dismorfofobia e sulla tafefobia“.

Le bare di sicurezza

Dal 18esimo secolo in poi inventori e scienziati di tutto il mondo si ingegnarono per costruire delle bare di sicurezza dotate dei marchingegno più disparati affinché l’eventuale “morto non morto” potesse uscire dal terrificante sepolcro.

In particolare in Germania sembra che questa paura fosse più radicata visto il numero impressionante di brevetti dedicati all’argomento tra fine settecento e inizio ottocento: oltre 30 sono infatti le invenzioni depositate, quasi tutte, inutile dirlo, assolutamente non funzionanti.

Nel 1790 il duca Ferdinando di Brunswick fabbricò la prima bara di sicurezza dotata di una finestra che consentiva l’ingresso della luce, di un tubo per respirare e di un coperchio che aveva una tasca con due chiavi, una per la bara, l’altra per la tomba.

La più conosciuta tra le bare di sicurezza tedesche era quella del Dottor Johann Gottfried Taberger: includeva un sistema di corde collegate alle mani, piedi e testa del sepolto, collegate a loro volta con un sistema di campane all’esterno. Quello a cui Taberger non aveva pensato è che i morti hanno la brutta abitudine di ritirarsi durante il processo di decomposizione, rischiando così di attivare involontariamente gli allarmi e scatenare il panico nel cimitero.

Ovviamente non mancavano i sistemi di respirazione. Uno dei più famosi è quello inventato dal ciambellano russo Michel de Karnice-Karnicki, rimasto traumatizzato dopo aver assistito all’episodio di una ragazza che si era messa a urlare dentro la bara durante la sua sepoltura.
La bara inventata da Michel era dotata di un tubo per respirare e di una bandiera di segnalazione da alzare in caso di “non morte”.
Michel era tanto sicuro della sua invenzione che la sperimentò pubblicamente seppellendo vivo un suo assistente: sfortunatamente niente andò come previsto e il povero assistente rischiò di morire soffocato, venne salvato dopo ore e il progetto della Karnice abbandonato.

Ma non solo i tedeschi avevano paura di essere sepolti vivi. Alla fine dell’800, un dottore americano, tale Timothy Clark Smith, tanto spaventato dalla possibilità di essere sepolto vivo, fece costruire una tomba dotata di un vetro all’altezza della testa, in modo tale che se fosse stato sepolto vivo, avrebbe potuto guardare fuori e avvisare i passanti.

La tomba di Smith all’Evergreen Cemetery di New Haven, in Vermont.

Giunti nel nuovo secolo, il 1900, la tecnologia più all’avanguardia aveva raggiunto anche i servizi di pompe funebri. In questa cassa, nel caso in cui si venisse sepolti vivi, si apriva un serbatoio di ossigeno e veniva inviato un messaggio attraverso un sistema di fili alla superficie. In seguito venne poi aggiunto un trasmettitore di codice Morse per consentire al morto di comunicare alla superficie la propria condizione. “Morto chiama vivi, SOS, sono ancora dei vostri”. Mi sono immaginata una cosa del genere.

Tafofobia nella letteratura e nel cinema 

Tra i nomi più famosi di soggetti tafofobici circolano nella letteratura quelli del celebre scrittore russo Gogol’ e di Edgar Allan Poe che ha riversato nella scrittura la sua paura dando vita a racconti del terrore sul tema della sepoltura quali: “La sepoltura prematura”, “La caduta della casa degli Usher” e “Il barile di Amontillado” (tutti questi racconti sono presenti nel bellissimo volume Obscura che contiene tutti i racconti di Edgar Allan Poe).

Nel 1999 La casa editrice Einaudi ha pubblicato una raccolta intitolata Sepolto vivo! – Quindici racconti dalle tenebre, in cui si possono trovare 15 scritti di diversi autori che hanno trattato il tema della paura di essere seppelliti vivi all’interno di una bara. Tra gli scrittori presenti all’interno di questa raccolta troviamo, otre al già nominato Edgar Allan Poe, Gustave Flaubert, Émile Zola, Guy de Maupassant, Ambrose Bierce, Rudyard Kipling e Robert Bloch.

Nel 1964 infine Dario Fo ne realizzò un’interpretazione farsesca nella sua pièce Settimo: ruba un po’ meno parlando di «feretrofobia»

Ovviamente anche nel cinema non mancano i rimandi a questa atavica paura. Il film Buried – Sepolto (2010) è interamente ambientato dentro una cassa in cui il protagonista è stato rinchiuso e sepolto. 
“Sepolto vivo” (1962), del regista Roger Corman, racconta di un tafofobico che cerca di scongiurare la sua fobia attraverso la costruzione di un mausoleo sofisticato. E come dimenticare la scena cult del film Kill Bill vol. 2 (2004) in cui Beatrix Kiddo viene sepolta viva e per salvarsi si serve degli insegnamenti del maestro Pai Mei.
Immancabile anche nella tv, nell’episodio Sepolto vivo della serie tv stat CSI – Scena del crimine un agente della scientifica, Nick Stokes, viene rapito e sepolto vivo.

Morti apparenti e la sindrome di Lazzaro

Nel 2007 un medico anestesista particolarmente interessato all’argomento ha condotto una ricerca pubblicata sul Journal of the Royal Society of Medicine su alcuni casi di morte apparente. Per la precisione ne ha presi in esame 38, tutti quelli documentati nella letteratura medica. Ne cito qui alcuni tra i più “simpatici” ed eclatanti.

1604, Marjorie Elphinstone viene seppellita ad Ardt Annies, in Scozia. Durante la notte dei ladri disseppelliscono la bara cercando di rubare i gioielli che indossava al momento della sepoltura. Vengono fermati dalla stessa donna che si sveglia e li mette in fuga.

1650, Anne Greene viene impiccata dopo essere stata condannata per infanticidio. Il medico della prigione ne verifica la morte e consegna il giorno seguente il corpo alla locale scuola di medicina. Quando gli studenti cominciano a lavorare sul corpo di Anne, si accorgono che ha battito cardiaco e che respira molto debolmente. La rianimano facendole bere un cordiale.

1850, una giovane ragazza muore di difterite nella Carolina del Sud. I parenti la portano subito nel mausoleo di famiglia per paura che la malattia si diffonda. Tredici anni dopo riaprono il mausoleo per seppellire un altro figlio morto e trovano dietro la porta lo scheletro della ragazza, evidentemente risvegliatasi poco dopo la sepoltura.

1977, Los Angeles. Il corpo di Gerry Allison viene trasportato all’interno di un carro funebre verso il locale cimitero. L’autista fora una gomma e perde il controllo del mezzo andandosi a schiantare. La bara che contiene il corpo di Gerry si ribalta e i passanti lo vedono uscire con le proprie gambe, stordito, ma vivo.

Ti è piaciuto questo post? Pinnalo!

Potrebbe interessarti anche

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *