
E su tutta la nave regnava incontrastato quell’aroma di fiori di pesco, come lo spirito della morta stessa.
Unico maschio, giunto dopo otto sorelle, e figlio di un predicatore irlandese emigrato nei Caraibi, Matthew Phipps Sheil raccontò in una delle sue pubblicazioni di essersi autoincoronato re dell’isola di Redonda (uno scoglio delle Indie Occidentali) e, dopo aver conferito nobiltà a celebri amici scrittori, di aver fatto la seguente riflessione: ”Così mi abituai all’idea di essere un re, un re dei re […]; ma il fatto di credere vere le fantasie provoca la metà dei nostri guai, e quello di non credere vera la realtà, l’altra metà”.
Nel 1901 scrive La nube purpurea, considerato uno dei testi fondatori della fantascienza apocalittica, che riprende in parte il frutto della sua riflessione.
Tramite un espediente alquanto bizzarro, l’autore ci narra la storia di Adam Jeffson, giovane dottore inglese, che viene convinto a partecipare ad una spedizione per raggiungere il polo Nord. Durante la via per il ritorno dalla spedizione però, Adam inizia a rendersi conto che qualcosa non va: tutto ciò che incontra, sebbene apparentemente incorrotto, è irrimediabilmente morto, e nell’aria continua ad aleggiare uno strano profumo di mandorla.
La verità viene a galla poco dopo: una misteriosa nube tossica, venuta da chissà dove, ha avvolto la Terra lasciando dietro di se un’ecatombe mondiale. Una morte talmente immediata da lasciare le sue vittime come congelate nell’attimo in cui la nube le ha raggiunte, in bicicletta, inginocchiate in preghiera o abbracciate nel letto, facendo di loro un drammatico presepe ormai non più vivente. Ormai conscio di essere rimasto solo al mondo, Adam inizia un pellegrinaggio disperato alla ricerca di sopravvissuti.
Stavano completamente immobili sul mare immobile, esso stesso una cosa defunta, livido come le labbra della morte; e in quella calma vibrava un’intensità raccapricciante, perché l’oceano sembrava sovraccarico, e l’aria narcotizzata.

La nube purpurea ci racconta della disperata e atavica paura della solitudine, e di come relazionarci con altri individui serva da fulcro per bilanciare noi stessi. Privato dei propri punti cardine, di una società che faccia da spartiacque, Adam annaspa incapace ormai di vedere la linea tra il bene e il male.
Nella lotta tra il Bianco e il Nero, tra luce e tenebra, tra la saggezza e la follia, Adam, autoelettosi unico monarca della terra, diviene un antieroe. La sua foga disperata si trasforma prima in desolazione e poi in rabbia cieca, in un vortice di perdizione a cavallo tra follia e sfacelo che sfocerà in un delirio di distruzione.
Quando lo vidi percepii distintamente, per la prima volta, quella disperazione sconfinata che solo io, tra gli uomini, ho provato, più alta delle stelle, e profonda come l’Inferno; e mi ritrovai a fissare di nuovo lo sguardo vacuo del Nirvana e l’alienazione del Nulla, laddove il Tempo si fonde con l’Eternità, e tutta l’esistenza, come una goccia d’acqua, scivola dispersa a riempire il vuoto senza fondo dello spazio, ed è perduta.
La prosa meravigliosamente lirica e ricca di avvolgenti descrizioni che accompagna la prima parte del libro piano piano scarnifica, si imbruttisce e si semplifica, come a voler sottolineare il reimbarbarimento di un uomo costretto al silenzio della solitudine. In questa parte centrale il racconto diviene -forse non a caso- follemente ripetitivo e ridondante, quasi sfiancante.
La metafora che accompagna tutta la narrazione è quantomai evidente (del resto come ho già detto Shiel era figlio di un predicatore), ma La nube purpurea è una metafora della Fede intesa non solo nel senso religioso del temine, ma, più globalmente, come necessità umana di credere in qualcosa e avere uno scopo, e, nel contempo, nella possibilità di redenzione dell’umanità.
Sebbene sembri perdere lucidità nella parte centrale, La nube purpurea, con la sua prosa quasi Lovecraftiana e con i limiti di un romanzo che ha 120 anni -portati comunque benissimo-, è un libro a dir poco affascinante, ricco di simbolismi, che varca i limiti della letteratura decadente ottocentesca per trasformarsi in qualcosa di nuovo: una potente e lacerante riflessione sul genere umano.
E’ stato bellissimo condividere questa lettura con il mio amico Louchobi, sul suo blog trovate la sua recensione!
Se hai già letto il libro
Film ispirati al libro

La fine del mondo (The World, the Flesh and the Devil) è un film del 1959 diretto da Ranald MacDougall. È una pellicola fantascientifica post apocalittica incentrata sugli effetti di una guerra atomica.
Il film è ispirato al romanzo La nube purpurea di M. P. Shiel del 1901 e al racconto End of the World di Ferdinand Reyher; lo stesso soggetto è stato ripreso nel 1960 per il film L’ultima donna sulla Terra (Last Woman on Earth) di Roger Corman.
Top-qualcosa 2020
In questo anno complicato posso dire, e per una volta davvero a ragione, che la lettura mi abbia salvata. Non amo molto fare le classifiche ma credo che i libri che si sono ritagliati un posticino nel mio cuore meritino un post speciale. Quindi ecco, in ordine quasi del tutto ma non completamente casuale, la top-qualcosa dei libri che ho amato di più nel 2020!
Mercedes – Daniel Cuello
Mercedes di Daniel Cuello, perché Cuello è una personcina adorabile e anche i suoi personaggi più malvagi, alla fin fine, sono adorabili anche loro.
Mercedes è un idolo indiscusso, una memorabile antieroina cinica, arrogante, inarrestabile, sboccata e massiccia quanto la sua improbabile cofana di capelli rossi. Cuello lavora di cesello, dà forma a personaggi spigolosi ma tridimensionali nella loro deplorevole umanità, gioca sul non detto e su livelli di lettura diversi, crea piani sequenza che sembrano film.⠀
Ne ho parlato su Instagram QUI
Il ragazzo in soffitta – Pupi Avati
Il ragazzo in soffitta di Pupi Avati, perché mi ha insegnato che i mostri non sono sempre quelli con la faccia da mostro e, a volte, abbiamo paura delle cose sbagliate.
Il ragazzo in soffitta è un noir che parla di amicizia, di vendetta e delle umane debolezze. L’alternanza delle due storie crea una montagna russa di emozioni, un ritmo incalzante che non permette di scollarsi dalle pagine.
Ne avevo parlato su Instagram QUI
Women of Weird – AA. VV.
Women of weird perché è un progetto dannatamente bello e non c’è un solo racconto che non meriti di essere letto.
In questa raccolta di racconti weird potrete trovare sinistre entità che perseguitano il genere umano, pianeti abitati da esseri misteriosi, giochi che sconvolgono la vita di chi li porta a casa, antichi culti, paesi in cui si attuano punizioni esemplari e perfino unicorni. La grande forza di questa antologia è proprio la varietà. Ogni racconto è una sorpresa, un adrenalinico salto nel vuoto, un piccolo scrigno che potrebbe contenere meraviglie o orrori.
Ne ho parlato QUI.
Il complotto contro l’America – Philip Roth
Il complotto contro l’America di Philip Roth, perché è stato il mio primo Roth, ne avevo dannatamente paura e invece si è rivelata una bellissima e agghiacciante ucronia.
Quella di Roth è una scrittura densa, che va masticata e assaporata lentamente. E’ una narrazione lenta e fatta di continue digressioni, che come in un puzzle vanno a formare, mano a mano, un quadro ampio e splendidamente strutturato. E’ una storia che parla di quanto possa essere labile la democrazia anche nello stato più democratico del mondo, ma è anche il percorso di crescita e di formazione di un bambino che si ritrova ad avere a che fare con le paure di un mondo che non comprende e di una situazione molto più grande di lui.
Ne ho parlato QUI.
Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri – Daniele Germani
Come eliminare la polvere e altri brutti pensieri di Daniele Germani, perché ci sono inciampata dentro e le storie di triste follia meritano sempre di essere raccontate.
Con una scrittura poetica ed evocativa, Daniele Germani ci regala questo libro tanto breve quanto intenso. Un percorso doloroso attraverso i cunicoli della mente umana, un racconto che apre moltissime domande che, in questo caso, contano molto più delle risposte.
Ne ho parlato QUI.
Anni Luce – Andrea Pomella
Anni Luce di Andrea Pomella, perché quell’urgenza di capire chi siamo, di mordere il mondo, di precipitare nel baratro e pensare di salvarsi attraverso la musica ce l’abbiamo avuta tutti.
Questo è un libro nato da un figlio della generazione X, il disilluso racconto di un uomo ormai adulto che guarda, col senno di poi ma anche con non celata nostalgia, a quegli anni quasi liquidi fatti di alcool, droga, amicizie sbandate e musica.
E’ un romanzo che probabilmente trova nel suo più grosso pregio anche il suo più grande difetto: è un romanzo generazionale, figlio di un’epoca che se non la si è vissuta, almeno in parte, forse non si può comprendere del tutto.
Ne ho parlato QUI.
Battle Royale – Koushun Takami
Battle Royale di Koushun Takami, perché è cattivo fino all’osso. Non ha nessun insegnamento da dare, ci sono solo sangue e terrore come solo i migliori giapponesi sanno regalare.
Prendi Il signore delle mosche, Hunger Games, Fortnite e butta via tutto (no vabhè, il Signore delle mosche magari tienilo). Battle Royale è una bomba che ti esplode in piena faccia, un capolavoro del pulp che, dopo essere stato rifiutato da svariati editori e premi letterari, è divenuto in Giappone il libro più venduto di tutti i tempi, ispirando manga, film e videogiochi.
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King Kong Theory – Virginie Despentes
King Kong theory di Virginie Despentes, perché Despentes affronta argomenti delicatissimi, come il patriarcato, lo stupro e la prostituzione con una lingua ruvida come quella di un gatto.
Un testo cruciale per molti aspetti, il primo saggio pubblicato dall’autrice, è un moderno manifesto femminista che devasta l’ordine sociale contemporaneo nel quale i corpi delle donne sono a disposizione degli uomini.
Il giovane Holden – J. D. Salinger
Il giovane Holden di J. D. Salinger, perché è irritante e indisponente e confuso e dannatamente fragile. E io me lo ricordo come ci si sente.
Eccolo qui il giovane Holden, in piedi sul confine tra l’adolescenza e l’età adulta. Un ragazzino irritante, presuntuoso, indisponente, spocchioso. Ma anche, e soprattutto, confuso, fragile, spaventato, a volte depresso “e via dicendo”.
Cacciato dall’ennesima scuola e in attesa di tornare a casa, dove lo aspetta la ramanzina del padre, ma forse anche dei dolorosi ricordi, si aggira in una New York fumosa e affollata nella quale, però, sembra così dannatamente solo.
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Karoo – Steve Tesich
Karoo di Steve Tesich, perché è l’amaro specchio di una realtà che si sgretola per far posto alla finzione.
Saul Karoo è una persona detestabile. Ricco, sovrappeso, intelligente, si finge il fantastico padre di un figlio che però continua ad evitare.
Saul Karoo recita, recita la parte di se stesso per come lo vedono gli altri. Recita e per recitare è necessario un pubblico, quindi è incapace di una vita privata. Recita anche adesso che, per colpa di una strana sindrome, nonostante ingurgiti quantità ciclopiche di alcool non riesce più ad ubriacarsi. Ma il suo personaggio è quello del cinico ubriacone, e quindi si finge tale per non deludere il suo pubblico.
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L’orda del vento – Alain Damasio
L’orda del vento di Alain Damasio, perché l’autore è un asceta folle e perché è la cosa più bella che ho letto quest’anno e, probabilmente, tra quelle più belle della mia vita. Non è un libro, è un’esperienza fisica che mi ha strappato il cuore e mi ha fatta arrancare controvento trepidando e gioendo e piangendo ed è esattamente quello che un libro dovrebbe fare.
L’orda del vento è un romanzo corale che parte con “arroganza”, a cominciare dalla numerazione delle pagine, che va alla rovescia (da 624 a 0), alla sua prima pagina, in cui le parole sono spezzate come se fossero spazzate via dal vento, fino alle voci dei 23 personaggi, che si alternano identificate ciascuna solo da un simbolo. Si viene catapultati nel mezzo dell’azione e in un mondo altro, dominato dalle sue regole e da un linguaggio che all’inizio risulta ostico e in parte apparentemente privo di significato, ma che man mano che si va avanti nella lettura diviene familiare, come se il lettore stesso si tramutasse, piano piano, nel ventiquattresimo membro dell’orda.
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Sono curiosa di sapere qual è stata la vostra miglior lettura del 2020! Fatemelo sapere nei commenti!
M. P. Shiel

Matthew Phipps Shiel, meglio noto come M. P. Shiel, è stato uno scrittore britannico, ricordato soprattutto per i suoi romanzi soprannaturali e di fantascienza, tra i quali l’apocalittico La nube purpurea.
Lo scrittore nacque sull’isola di Montserrat, nelle Indie Occidentali Britanniche. Malgrado il suo cognome anagrafico fosse “Shiell”, lo scrittore avrebbe in seguito adottato la forma abbreviata dell’ultima lettera per firmare le sue opere. Per il suo quindicesimo compleanno fu incoronato, da un predicatore wesleyano e su specifica richiesta del padre, sovrano della piccola isola deserta di Redonda, nei Caraibi, col nome di Re Felipe I.
Ai numerosi impieghi occasionali nel corso degli anni novanta fecero seguito i primi successi come scrittore, attraverso una serie di racconti influenzati da Edgar Allan Poe. Shiel subiva intanto il fascino della vita intellettuale, del nuovo mondo letterario decadente, e ciò gli permise di stringere amicizia con alcune delle figure di maggior spicco della cultura del tempo: Robert Louis Stevenson, Oscar Wilde, Pierre Louÿs. In breve tempo produsse il suo più grande successo di critica, il romanzo La nube purpurea, seguito da altre opere che divennero anch’esse molto popolari.
Libri recensiti dell’autore:

- Genere: Fantascienza, Post Apocalittico
- Titolo originale: The Purple Cloud
- Lingua originale: Inglese
- Anno pubblicazione: 1901
- Isbn: 9788804718048
- Casa editrice: Mondadori, collana Oscar Fantastica
- Traduttore: D. De Boni
- Pagine: 312